lunedì 5 settembre 2011

Racconti in casa Gallucci

Due titoli molto diversi fra loro, uno per piccoli e l'altro per adolescenti, fanno assaporare un'ottima qualità di invenzione e di scrittura. Il mistero dei bisonti scomparsi, scritto da Massimo Carlotto aiutato dal piccolo Nanni Carlotto, è davvero un bel racconto; lieve, leggero e pur profondo. Indiani, africani, europei, bisonti e delfini, corvi e cormorani sono i protagonisti di questa favola illustrata da Tinin Mantegazza, una favola dal sapore classico nella quale si mescolano il fantastico alla denuncia, la speranza al sorriso. Il racconto di Alver Metalli, La vecchia ferrovia inglese, uscito all'inizio dell'anno, è invece catalogabile fra i racconti lunghi di marcato sapore sudamericano. L'autore, di origini romagnole, è un conoscitore dell'America del Sud, ha vissuto in Argentina, in Messico e in Uruguay, dove ha lavorato come inviato per la Rai. “Immaginare un coccodrillo alla periferia della città più abitata del paese richiede molta fantasia, non credete?” E' l'insegnante di José, il ragazzino protagonista, a porre la domanda, la città è Montevideo.
Il lettore ci crede e rimane attaccato alla pagina per seguire Josè, armato del suo fucile ad aria compressa, ricevuto in regalo anche se non ancora in età per poterlo usare. L'età, l'adolescenza, è uno dei binari sul quale scorre il filo del racconto. Da una parte una madre in apprensione, che vigila, dall'altra un padre che propende per l'autonomia e l'indipendenza. Il racconto, molto ben scritto, prende le mosse da una precisazione storica e fissa gli accadimenti nel post -dittatura, collocandoli nell'aria povera della città, nelle case popolari costruite dalla dittatura e lasciate in eredità alla democrazia. Un accurato realismo ci dà conto della vita: il calcio, l'oratorio, la scuola, le scorribande nella natura... “ Per fortuna il copioso stile della realtà non è il solo: c'è anche quello del ricordo, la cui essenza non sta nella ramificazione dei fatti, ma nel perdurare di tratti isolati.” Sono le parole di Jorge Luis Borges che Alver Metalli ha posto in epigrafe del racconto.
Grazia Gotti


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