lunedì 8 ottobre 2012

Shakesperare e la grammatica


"Avere o non avere, questo è il problema. Se la parolina che ci tormenta è voce del verbo avere, allora sì che ci vuole quella lettera muta e infida, la h di ho, hai, ha, hanno.
Non mi direte che non sapete distinguere un verbo, l'azione, il cuore della frase, da una preposizione?
Se dico: "Hai dato da mangiare ai cani?" non si può confondere la prima hai con quella del secondo ai. Riflettere, pensare: altro che dormire, sognare forse. Perché sopportare i segni rossi e blu degli insegnanti, le urla dei genitori, il disprezzo dei saputelli, quando basta un momento di riflessione per cacciare l'errore e le sue angosce? Oh, dimenticavo le esclamazioni! Oh, ah, ahi, ehi: sono verbi? Sono preposizioni? No di certo: ahimé, sempre piú infida è la h, che in questi casi segue la vocale, come un sospiro..."

Immaginate una classe che dopo aver visto in rete le diverse interpretazioni del celebre monologo (da quella  in bianco e nero da piglio nevrotico di Richard Burton, alle piú recenti in technicolor), prendesse sul serio sia Shakespeare che la grammatica. Sul serio e in modo ilare; sembra un ossimoro, ma fare la parodia è prendere sul serio un tema, un personaggio, è come la potenza sopra il numero, è qualcosa alla seconda.
Ho nostalgia della scuola, anche influenzata dai bei film di questa stagione. Il libro di Massimo Birattari offre molti spunti ad insegnanti impegnati a far guarire i ragazzi dalla congiuntivite,
e ad aiutarli ad entrare attraverso le parole e i segni nell'universo del senso.
La bella collana feltrinelliana di saggistica narrata ci ha regalato un altro libro prezioso.
Grazia Gotti


2 commenti:

  1. Al principio, ho pensato fosse voluto. Visto il titolo del libro, ho pensato fosse una prova ad ostacoli sull'ortografia per i lettori del post. Poi, pian piano, leggendo, mi sono accorta che apparentemente non c'era nessun intento pedagogico del genere, ma solo una allegra spensieratezza nell'uso degli accenti, gravi o acuti che fossero. In questo post sulla grammatica suona diabolico: ci deve essere il codino di Belzebù...
    Tutte le nostre parole accentate hanno quello grave: da sì a dà, passando per però (compreso il qui tanto bistrattato è di essere). Ahimé (non ahimè) lo hanno acuto i perché, ma anche i giacché, per non parlare degli affinché.
    Due strade per non sbagliare: impararli a scuola dalla maestra (sperando li sappia) oppure ricordarsi che se la e si pronuncia chiusa va scritta con l'acuto, se si pronuncia aperta va con il grave, dialetti permettendo...
    Senza rancore
    per sempre vostra Ortografia

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    1. Grazie per la puntuale segnalazione. Corretti tutti.
      la redazione

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