Solo con un cane è l’ultimo romanzo di Beatrice Masini, un racconto complementare al precedente dell’autrice, Bambini nel bosco: parla di famiglie separate, quando il precedente raccontava di famiglie ricomposte, di un bambino in marcia nel bosco per raggiungere un luogo migliore, mentre i protagonisti dell’altro fuggivano senza meta. Quando comincio un romanzo, prima di lasciarmi andare alla narrazione, non riesco a non pormi alcune domande fondamentali: chi mi sta parlando, da quale luogo, interno od esterno al racconto, e da quale tempo mi stanno arrivando queste parole? Solo con un cane si apre con l’annuncio di un editto crudele emesso da un Sire di un paese indefinito: tutti i cani sono banditi con effetto immediato e con ogni mezzo possibile. Compresa la violenza. Sembra la nota di apertura di una narrazione a sfondo storico, in cui il contesto deve essere subito inquadrato e le premesse conosciute dai lettori. Eppure c’è un che di fantastico nell’aria: se le parole hanno un peso, “sire” evoca nella mente del lettore un fiabesco di stampo medievale. Eppure il mondo raccontato nel libro assomiglia a quello di oggi, in cui i ragazzi vanno a scuola zaino in spalla e a cavallo della loro bicicletta, e le famiglie alla sera si riuniscono a leggere davanti al camino (a dire il vero qualcosa di strano c’è…). Però tutti si chiamano con nomi corti, non più di due sillabe, talvolta cacofoniche, come si addice ad una civiltà senza storia e senza radici, forse di un lontano futuro dimentico dei suoi antenati di oggi. È in questo enigmatico spazio-tempo che si muovono Milo e Tito, giovane padrone e cane ancora cucciolo, costretti a lasciarsi alle spalle la sicurezza della casa e della famiglia per sfuggire l’ingiustizia. Incontreranno molti ostacoli, fisici ed emotivi, che la penna dell’autrice descrive con forza e precisione. Nella narrazione si intrecciano memoria e presente, così come si alterna la voce del bambino a quella, essenziale e primitiva, del cane. E primitive sono anche la fame, la sete, la paura di morire, di essere abbandonati, di perdere il proprio migliore amico, che si agitano nell’animo del giovane Milo. La poesia sarà salvifica: “la speranza è un essere piumato che si posa sull’anima”, citando Emily Dickinson (mentre il padre di Snoopy avrebbe detto, altrettanto appropriatamente, “la felicità è un cucciolo caldo”). Il finale sorprende e illumina di nuovi significati il cammino dei protagonisti lungo le pagine e attraverso boschi e deserti. Ma ancora una volta Beatrice Masini non ci consola, lascia affiorare il sospetto nei confronti degli adulti e della loro crudeltà, che solo i ragazzi cresciuti consapevolmente potranno sconfiggere.
Virginia Stefanini
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