Chi era Gianni Rodari?
C'è tanto da raccontare della sua vita, straordinaria e ordinaria allo stesso tempo, c'è tanto da raccontare del suo lavoro letterario, della sua scrittura capace di passare dalla rima baciata all'etimologia diventata pretesto narrativo, dal testo giornalistico al pensiero pedagogico-civico-sociale-filosofico messo in pagina.
Nel tanto si può operare l'esercizio della scelta, e nominare un primo titolo per partire.
E il primo è per me il meno conosciuto, quello scoperto anni dopo la morte di Gianni Rodari.
Un libro arrivato in regalo da un amico docente di lettere, socialista nenniano, bravissimo insegnante.
Il titolo è Piccoli vagabondi, pubblicato dagli Editori Riuniti nella collana “Biblioteca giovani” nel 1980, prima ristampa nel 1983, commento di Lucio Lombardo Radice.
Il commento allarga gli orizzonti citando grandi scrittori veristi, il film "La terra trema" di Visconti, la versione televisiva firmata da Franco Rosi di "Cristo si è fermato a Eboli", parla di questione meridionale, di povertà e mendicità, di analfabetismo, di bambini affittati o venduti, invita a guardare specifiche opere di Guttuso e Treccani.
Un racconto lungo (con aggiunta di un racconto breve) che ci porta alla scoperta di un Rodari quasi sconosciuto, che non attinge al fantastico, un Rodari neo-realista che scrive di tre adolescenti o meglio di quattro. Il quarto ha un racconto tutto per sé che lo separa, non solo geograficamente, dagli altri: protagonisti un giovane pastore sardo e il banditismo.
Nel racconto che da il titolo al libro si narra di un viaggio nell'Italia del primo dopoguerra, un viaggio che prende avvio tra le montagne di Cassino e porta fino a Milano.
Un viaggio della speranza: libro attuale nei contenuti, nel dolore e nella descrizione della precarietà della condizione del migrante “minore non accompagnato”.
L'Italia del nostro passato prossimo viene drammaticamente fotografata attraverso parole che esprimono, con forte empatia, la sofferenza dei più deboli, un'infanzia e un'adolescenza negate.
I testi apparvero la prima volta su “Il Pioniere” nel 1952 e si collocano lontano dalla sperimentazione linguistica che guarda il surrealismo, lontano dai binomi fantastici, ma lontano anche dal riso civile che ha accompagnato tanta prosa e poesia del grande scrittore di Omegna.
Nel libro c'è il Rodari giornalista che aveva raccontato le miniere occupate, c'è la consuetudine della narrazione della cronaca, c'è la volontà di far emergere le storie di chi è dimenticato dalla Storia.
Oggi Piccoli vagabondi è in catalogo per i tipi di Einaudi Ragazzi, senza il racconto dedicato alla difficile situazione del banditismo sardo.
Silvana Sola
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