Qui un assaggio.
"Ecco. È finito un'altra volta. Mi toccherà farne ancora. Ho i muscoli delle braccia gonfi come quelli di un eroe. Non maneggio la spada ma la pasta: e ce ne vuole, a smuoverla e agitarla e prenderla a pugni finché non è soffice, elastica, filante. Allora sí che il pane che il pane sarà buono. Ma ci vuole il suo tempo: il tempo del lievito, della crescita. Bisogna aspettare, avere la pazienza del forno e del fuoco. E poi: ecco qui. Chi può fare a meno del pane?
Be', io non sono una donna di parole. Oggi ne ho già dette tante. Volevo dire che tra fare le storie e fare il pane non c'è poi tanta differenza. Anche le storie vanno impastate. Prendo un uomo, aggiungi una dea, poi mettici un po' di destino. E la farina: sono le parole. Mescola, mescola. Bagna con olio: il sapore della sorpresa. Aggiungi il sale: il gusto dell'amore. I cambiamenti sono il lievito. Impasta, impasta. Aspetta: manca un po' di sale, un erba profumata. Aggiungi. Aspetta il tempo della crescita. Inforna. Addenta. Questo per dire che saper fare una storia e saper fare il pane è importante. Tutti e due ci fanno venire fame; tutti e due, se sono ben fatti, ci saziano.
Ecco perché, se permettete, ci sto anch'io, fra tutte queste donne, maghe, eroine di cui scrivete voi che scrivete le storie. Io, la panettiera. Vorrei che parlaste del mio pane, di come sono brava a prepararlo, a cuocerlo. Vorrei che qualcuno ne scrivesse. Se scrivi del pane diventa tuo. Se scrivi una storia diventa tua. Anche se la ascolti.
Abbiamo bisogno delle storie come del pane.
Ecco, è finito di nuovo, tutto venduto, tutto mangiato; vado a farne ancora. E mentre lavoro, c'è qualcuno che ha una storia nuova da raccontarmi?"
Grazie a Paola di aver condiviso con tutti noi la storia di Zenaide.
Silvana Sola
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