“Io c'ero. Sì, mi trovavo in un punto qualsiasi di quel traballante mondo in bilico fra tragedia e speranza, Solo che il mio particolare “punto qualsiasi” non era il più desiderabile. Nella mia qualità di bambina ebrea, con l'onde nera del nazismo che incombeva dappertutto il “mio” punto era quanto mai precario e pericoloso...”
Si racconta così Lia Levi in "Io c'ero", il testo pubblicato nel volume Resistenza '60, dieci anni fa.
E della precarietà dell'esistenza e del pericolo scrive anche oggi, nel romanzo Quando tornò l'arca di Noè, pubblicato da Piemme.
Scrive del 1943 a Roma, scrive dei ragazzini espulsi dalla scuola pubblica perché ebrei.
Scrive di una scuola ebraica che racconta i fatti della Bibbia, catturando l'interesse dei bambini quando l'insegnante è capace di fare sentire un plot narrativo straordinariamente avventuroso.
Descrive la vita di tutti giorni dei bambini che faticano a capire perché non possono andare alla scuola di tutti, faticano a capire i cartelli ingiuriosi apparsi sulle vetrine dei negozi, faticano a capire perché il postino Michele non può più recapitare la posta e il babbo di Bruno non può fare più l'ingegnere.
Bambini descritti nel loro desiderio di andare avanti nella vita, curiosi dei fatti che non vengono mai svelati nella loro cruda verità.
Lia Levi immagina per loro un futuro di salvezza, accanto alle loro famiglie, dichiarando una possibile serenità del dopo.
Ma alla fine del romanzo ricorda ai lettori che, nella realtà, la storia è stata anche un'altra, una storia che parla di campi di sterminio, di un milione di bambini morti, di sofferenze.
Un libro volutamente leggero, un libro di storia e di memoria, che intreccia quel Io c'ero con la vita e la speranza.
Silvana Sola
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