Nel bookshop del nuovo Whitney Museum, disegnato da Renzo Piano, ho trovato il libro The Whitney Women and the Museum They Made, pubblicato nel 1999. È un volume ricco di informazioni, di fotografie, di aneddoti, che ricostruiscono la storia che portò una giovane donna a concepire uno spazio pubblico dedicato all'arte. Alle spalle una solida ricchezza, un patrimonio costruito con il lavoro dei genitori e un matrimonio che ha reso ancor più solida la ricchezza. Gertrude Vanderblit, sposata Whitney, era appassionata d'arte, scultrice, filantropa.
Al ritorno da New York, con le pagine del racconto ancora nella testa, ho avuto il piacere di trovare fra i libri inglesi della libreria Giannino Stoppani, un libro pubblicato dalla Tate dedicato a Henry Tate, fondatore della Tate Gallery. Il racconto è molto stringato e ci presenta un bambino sempre "busy", dedito a coltivare l'orto e a vendere i suoi frutti. I disegni di Bruce Ingman tracciano la sequenza del suo successo imprenditoriale: dal negozio di verdure alla catena di negozi, fino alla fabbrica dello zucchero e al fatale incontro con la bellezza. Il collezionismo diviene consuetudine e l'amore per l'arte porta alla condivisione, alla volontà di condividerla con tutti. Le pagine mostrano anche le opere della collezione e raccontano che dopo il rifiuto della National Gallery di accogliere la donazione per mancanza di spazio, Henry decise di costruire la casa per i suoi quadri. Così aveva fatto Gertrude, quando il Metropolitan Museum aveva rifiutato la sua collezione. Oggi entrambi i musei sono attivi nella divulgazione dell'arte e sono parte del paesaggio urbano, a Londra con la Tate Modern, recupero di un edificio industriale, e con il nuovo Whitney, esempio di ricucitura di aree periferiche, teorizzata da Renzo Piano.
Quando la ricchezza prodotta dall'ingegno di qualcuno e dal lavoro di tanti torna in parte alla comunità, lascia una traccia indelebile nella vita di tutti e promuove progresso e innovazione.
Grazia Gotti
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