Rita Atria sapevo chi era, sapevo del dolore che aveva annullato la sua voglia di vivere all'indomani delle stragi di mafia in Sicilia.
Sapevo del legame che aveva con il giudice Paolo Borsellino, il suo “zio Paolo”.
La sua era una di quelle storie minori, quasi invisibili, che riescono però a rendere visibile tutto l'orrore che la mafia ha in sè.
Quando in libreria è arrivato il libro di Andrea Gentile Volevo nascere vento edito da Mondadori, dedicato a Rita, ragazza diciassettene, cresciuta velocemente per affrontare un mondo adulto che ripropone modelli arcaici per assoggettare al suo potere i deboli, ho avuto paura di leggerlo.
Ci sono storie che non vorremmo mai conoscere, vite di cui non vorremmo sapere nulla, cullandoci in un eterno non vedo, non sento, non parlo.
Poi però accade che la realtà ci strattona, succede che le bombe le mettono davanti a una scuola e i sogni di una ragazza quasi coetanea di Rita smettono di essere sognati.
Quella di Rita è la storia di una bambina, e bravo è Andrea Gentile a raccontarla senza cedere la penna a un pietismo che non lascia speranza. Il testo ricostruisce anche attraverso alcune pagine di diario di Rita i tormenti di quella che è stata la più giovane testimone di giustizia in Italia, che ha creduto alla giustizia prima ancora che alla vendetta.
Rita aveva su di sé un peso troppo grande, è forse la responsabilità è anche nostra, perché i mostri che continuano a inquinare il nostro vivere civile sono anche nostri.
I ragazzi devono leggere la sua storia, insieme alle altre di cui abbiamo già parlato su questo blog, perché solo così potranno immunizzarsi da quel comodo e complice non vedo, non sento, non parlo.
“Dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi” così scriveva Rita nel suo tema d'italiano agli esami di stato, aveva capito che la mafia è elemento endogeno della vita civile, che solo robusti anticorpi possono debellare.
Agata Diakoviez
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