E’ una giornata limpida, soffia un maestralino gradevole; dalla spiaggia vedo le isole dell’arcipelago toscano e alle mie spalle, fra il verde della macchia, appaiono i contorni del cimitero di Castiglione della Pescaia dove è sepolto Italo Calvino. Rileggo Il principe Otto di Robert Louis Stevenson nell’edizione Frassinelli del 1937. Mi era piaciuto moltissimo ma per lungo tempo non ho pensato di parlarne, nè di consigliarlo. Per Stevenson era un lavoro importante: “my hardest effort”, dirà dopo averlo finito. Veniva dopo L’isola del tesoro, quando l’autore aveva già compiuto i trent’anni e scritto anche quella meravigliosa testimonianza poetica dal titolo A Child’s Garden of Verses, una Bibbia per noi che ci occupiamo di libri con figure e di giocattoli. Leggo per voi, o affezzionati lettori, dalla sovracoperta:
L’UOMO
Fiero in velluti, indomito tra i cenci, e vano, generoso, duro critico, buffo, poeta, amante, libertino. Un po’ d’Ariele, un tantino di Puck, molto d’Antonio, e quasi tutto Amleto. (W.E.Henley)
LA VITA
Son stato fatto per lottare, e il destino ha voluto che il mio campo di battaglia fosse questo - meschino, privo di gloria - tra letto e medicine. Non ho ceduto; ma quanto avrei preferito una diana di guerra, e l’aria libera intorno a me!
( Stevenson a G. Meredith)
LO SCRITTORE
Egli sofferse della sua versatilità, non perché riuscì abbastanza bene nei generi più diversi, ma perché, nei generi più diversi, riuscì troppo bene. Capace di realizzare il proverbiale miracolo d’essere in cinque posti ad un tempo, portò gli altri a ritenere ch’egli fosse cinque diverse persone.
( G.K. Chesterton )
LO STILE
Il suo stile è costantemente così fermo e delicato, leggero e governato, che l’unica sorpresa ch’egli riesce ad aggiungergli è d’arrivare quasi ad obliarlo.
( E. Cecchi )
Quante nobili voci per una bandella! Le ha ripescate con cura lo straordinario traduttore, autore anche della bella introduzione, Enzo G. Giachino, tradutttore di grandi romanzi einaudiani. Siamo nella Torino dei primi anni Trenta, quella città operosa raccontata magnificamente da Angelo D’Orsi. Sempre D’Orsi, nalla scheda per la Treccani, leggibile in rete, presenta Frassinelli editore e accenna alla famosa collana “Biblioteca Europea”, di cui Il principe Otto fa parte. E’ una collana ricca di soli nove titoli: Babel con copertina di Sturani, Melville, Twain, Kafka, Joyce, Stevenson, Anderson, O’Neil. E per ragazzi, nel 1933, debuttarono Le avventure di Topolino di Disney. La mente letteraria era Franco Antonicelli, bella e nobile figura di antifascista, saggista, letterato, autore di Le parole turchine, fiabe pubblicate nella collana einaudiana per ragazzi nel 1973. Torino era una città ricca di cervelli grandiosi, professori di liceo, tipografi, traduttori, editori: Augusto Monti, Leone Ginzburg, Cesare Pavese, Giulio Einaudi e tanti altri da conoscere e studiare. Mi piace immaginarli a discutere de Il principe Otto, un romanzo che mette in scena l’amore e la politica. Le idee politiche di Stevenson erano di certo accolte con favore dal gruppo dei torinesi di formazione gobettiana, figli di quella rivoluzione liberale e continuatori in Giustizia e Libertà di idee chiare e semplici, ad esempio contro le logge massoniche, a favore di un po’ di bontà e di onestà, contro gli opportunisti, i doppiogiochisti e i rivoluzionari esagitati. Il principe errante cerca la via per migliorare, per diventare un gentiluomo ed essere degno di una gentildonna. Anche per le femmine trovare la strada non è semplice, la parabola di Serafina, con le sue luci e ombre, aspetta di essere interpretata. Rileggere la grandissima Lalla Romano, una torinese del gruppo, può essere d’aiuto. Alzo lo sguardo dal libro e dal computer. Le isole dell’arcipelago sono lì, come le vedevano i Macchiaioli e Yambo. Quest’ultimo piaceva molto a Pavese. Il tempo non cancella: Calvino alle mie spalle, Stevenson qui accanto, Il principe con la sua Serafina, i colori dei pittori della macchia. Dopo il maestrale, forse verrà il libeccio. Le isole al loro posto, e ancora l’aleatico dell’Elba in cantina.
Grazia Gotti
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