martedì 29 dicembre 2009

La patria non è un inno nazionale

Elizabeth Laird ha sessantasei anni: è nata in Nuova Zelanda, ma è cresciuta a Londra.
A diciotto anni è andata ad insegnare in Malesia. Poi è tornata in Inghilterra e poi di nuovo in viaggio. In Etiopia, in Iran, in India, in Libano… Suona il violino, ama il cioccolato amaro, legge e scrive.
Scrive romanzi che riportano nelle pagine le vicende delle genti che ha incontrato nei suoi molti spostamenti, racconta la vita, nei suoi libri per ragazzi.
Una vita che fa i conti con le difficoltà del conflitto infinito tra Israele e Palestina nel romanzo Un piccolo pezzo di terra, in catalogo per Feltrinelli.
Un romanzo che dichiara un’infanzia desiderosa di normalità e di spazi per giocare, di palloni e di amicizia, un libro di speranza e di positiva ostinazione.
“Ce la faremo…: noi sopravviveremo.” sono le parole finali del libro.
Sopravvivere per immaginare un futuro migliore, sopravvivere per dichiarare la propria esistenza, un’esistenza che passa attraverso terribili prove.
Tara è curda, dovrà lasciare l’Iraq, vivere sulle montagne del Kurdistan, fare l’esperienza del campo profughi in Iran, e poi raggiungere Londra.
La protagonista del romanzo La patria impossibile, edizioni El, ritrovabile oggi solo in biblioteca e in qualche remainders, è come il giovene raccontato nel bellissimo film di Philippe Lioret, Welcome.
La tragedia del popolo curdo, l’asilo politico, le leggi contro la clandestinità, la ricerca del rispetto, oggi come allora: sono trascorsi diciotto anni da quando venne scritto questo romanzo, ma la lettura del libro e la visione del film dichiarano lo stesso tempo. Un tempo che trascorre senza riuscire a porre fine alle ingiustizie.
E’ una scrittura “militante” quella di Elizabeth Laird, una scrittura che entra dentro la vita, sempre all’erta, per cogliere ciò che sta dietro le quinte.
E’ del 2008 la pubblicazione in italiano, per i tipi di Piemme, di Quando nel mio paese crescevano gli aranci.
Elizabeth racconta il Libano che ha vissuto, la città di Beirut, la convivenza con checkpoint e i rumori di guerra. E nella prefazione al romanzo, ricorda:
“Una mattina, mentre tornavamo a casa in auto, ci accorgemmo con inquietudine che le strade e il mercato erano deserti. C’era un banco della frutta e le arance color oro chiaro rotolavano ancora per la strada. L’aria fremeva di tensione: la battaglia stava per avere inizio.”
Silvana Sola

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