Pinin Carpi, in un prezioso libro dedicato ai ragazzi uscito per i tipi di Mondadori nel 1983, sottolineava la necessità dell’arte come bene comune, ingrediente indispensabile per garantirsi una migliore qualità della vita. Vorrei sottolineare il bene comune, perché mi sembra un perfetto punto di partenza per parlare di arte e di ragazzi, di conoscenza e di trasmissione del conosciuto, di conservazione e di valorizzazione. Sono questi i temi che attraversano il libro di Sabina Colloredo, pubblicato da Einaudi ragazzi, dedicato a Peggy Guggenheim, all’ereditiera ribelle che ha attraversato tre quarti di secolo, sconvolgendo amici e nemici, troppo spesso ricordata per il numero dei potenziali amanti a scapito dello straordinario lavoro messo a segno nel nome dell’arte. Peggy apre le collezioni al pubblico, le fa diventare museo, salva artisti e opere d’arte nell’Europa schiacciata dalla follia di Hilter. Il libro svela il significato di collezionista, in un’accezione aperta, un collezionismo generoso, plurale, lontano dal semplice senso del possesso e dall’esaltazione dell’ego. Peggy è meravigliosamente umana nella sua adolescenza fatta di luci e ombre, nella descrizione di una ricchezza “ che riempiva lo stomaco, l’armadio e la casa, ma non quella sensazione di vuoto che sentivo quando, sdraiata sul letto, mi lambiccavo il cervello su cosa avrei fatto della mia vita”. E la sua vita è stata una vita vissuta all’insegna del fare, dell’essere. Il libro la lascia nella città di Venezia, una città alla quale ha regalato, vera mecenate del novecento artistico, una bellissima casa museo che conserva, in un angolo del giardino, le sue ceneri, accanto ai resti degli amati cani con i quali si faceva frequentemente fotografare. E’ un libro da leggere veloce, perché le parole volano impegnate ad inseguire il vortice fisico, mentale di una bambina e poi di una donna intelligente, stravagante ed eccentrica, capace di vedere il genio nell’opera di un artista sconosciuto.
E il vortice, il movimento, la forza del pensiero, lo sguardo attento, la ricchezza e la bellezza diventano soggetto per le illustrazioni di Alessandra Cimatoribus, impegnata a delineare una figura come “opera d’arte”. Ed è ancora l’arte come forma di espressione necessaria per la vita, quella che racconta un Mantegna alla fine dei suoi giorni, descritto nel disfacimento fisico, nel vortice dei pensieri, nel ricordo di una vita che è parte della sua opera, nel risentimento, nel rancore, nella potenza delle riflessioni, dalla prosa unica, colta, impietosa, lucida e poetica di Matteo Marchesini. E’ l’arte raccontata ai ragazzi, è la letteratura che svela le storie di vita, è la parola che si muove al passo con l’ opera d’arte. Il libro voluto da Grazia Gotti, nella collana “L’OcchioTattile” edita da Mottajunior, presenta un Andrea Mantegna vivo, sofferente come il suo San Sebastiano, stupefacente come il Cristo Morto, onirico e inatteso come lo sguardo che scopre la Camera degli sposi. Come nuvole di roccia è un libro necessario, perché si preoccupa di svelare l’arte e lo fa attraverso un narrato che è vita, storia, lavoro. E’ un libro alchemico nel quale la riproduzione dell’opera, il peso del testo, la scelta del carattere contribuiscono a tracciare un percorso fatto con il preciso intento di offrire occasioni di conoscenza e di visione.
“ (…) altri libri gli tornano alla mente. I codici che a vent’anni gli mostrava Michele Savonarola, il suo padrone di casa padovano, che lo aveva raccomandato a Ferrara, dov’era medico di corte, e gli aveva fatto leggere la traduzione in volgare del trattato dell’Alberti sulla pittura, dove si dice che chi manovra il pennello è non un mestierante qualunque, ma un uomo d’arte intero, al pari di un poeta…”
Silvana Sola
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