Vai sempre in canoa?
Sì, ho una discreta conoscenza dell’acqua. Non sono uno skipper ma sento l’elemento. Vado come con la bicicletta, le ruote sulla terra, la canoa sull’acqua.
D’estate sei un’isolana!
Senza l’isola per me non è estate. Vado a Salina dal 1980, amo i suoi colori, blu, giallo, bruno, oro, nero e sento il microcosmo. Non sono una viaggiatrice di lunghe distanze, i miei viaggi sono brevi e intensi.
Due tuoi romanzi sono ambientati su un’isola, il primo Gli occhi del mare uscito nel 1994 per Einaudi Ragazzi con il titolo Il mistero sull’isola non era affatto un racconto del mistero come il titolo voleva far intendere, aveva per protagonista un ragazzino del Nord Italia che raggiungeva il padre trasferitosi al Sud per dedicarsi alla vigna. La mamma era rimasta a Milano e una nuova compagna del babbo era all’orizzonte.
Era un addio all’infanzia, la solitudine del protagonista segnava il distacco dalle figure genitoriali.
Era la disillusione.
Con Adalberto l’infanzia era ancora dentro l’alveo familiare, accudito, seguito, alle prese con la socialità fra i suoi pari, l’amicizia, le prove… qui c’è lo strappo e l’incertezza, la conoscenza del mondo con le sue regole. Nelle illustrazioni della nuova edizione le tavole delle sorelle Balbusso rimandano alla pittura di Sironi, alla sospensione, all’allusione, come la tua scrittura. Mistral, è invece un’altra isola, un’altra età.
Era la Corsica settentrionale. Volevo raccontare la sensorialità, la sessualità, l’amore.
Ai ragazzi più grandi avevo già dedicato parte del mio lavoro, qui mi sono concentrata a cercare di raccontare le emozioni della sessualità, il retrogusto umano, sentimentale, emotivo. Nella speranza di aiutarli a scoprire queste emozioni, perché mi pare che oggi prevalga la genitalità.
Yesterday infonde al racconto il sapore degli anni Sessanta/ Settanta, la rivoluzione dei costumi, e una beatlesiana idea del cambiamento, change your mind, la più grande delle rivoluzioni.
L’Europa mediterranea, con il turismo, si apriva al confronto, c’era apertura.
Non abbiamo mai pagaiato insieme e nemmeno nuotato, ma ricordo il mare di Otranto dall’alto della cattedrale, il vento ti scompigliava i capelli. Abbiamo ammirato il mosaico dell’albero della vita e chiacchierato con Don Grazio. Per il tuo nuovo romanzo hai visitato altre chiese, l’hai finito?
Ci lavoro da anni, da quando tu scopristi la stampa in Pinacoteca a Budrio e me ne parlasti. E’ un lavoro molto impegnativo. Qui non ho remore, scrivo per gli adulti. E’ una storia vera, una storia di infanzia negata. E’ una sfida, tutti i protagonisti sono uomini, uomini di chiesa. Il Seicento, i conventi, gli ordini religiosi e mi muovo in un triangolo tra Budrio, Roma e Caldarola.
E’ così Angela, concentrata, rigorosa, le sue frasi sono brevi, lineari, così come la sua scrittura è nitida, elegante, di un’eleganza sempre sobria. Una bella lingua per un traduttore! Il romanzo che annovera più traduzioni (forse venti) è Mio Nonno era un ciliegio. Una lettera del traduttore giapponese, che ho avuto l’onore di leggere, offre una speciale occasione per comprendere come la letteratura per ragazzi sia presa sul serio in altre culture. Si parla di diverse concezioni religiose e di stessi ciliegi, con sapienza e profondità. Quel libro si è fatto strada per terra, per cielo e per mare, ed ha raggiunto la prestigiosa cinquina dello Jugend Prize a Francoforte. Niente marketing, uffici stampa, media. Alla Buchmesse c’erano Angela e Paolo, il marito. Non un giornalista italiano a sostenere la buona letteratura per ragazzi.
Grazia Gotti
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