martedì 8 settembre 2015

La rivolta dei lettori che mette fine all'interpretazione


Oggi, cari lettori, vi invito a leggere l'intervento di Magrelli di domenica scorsa.

Grazia Gotti


La rivolta dei lettori che mette fine all’interpretazione
di Valerio Magrelli

Sono passati venticinque anni da quando George Steiner auspicava l’avvento di una cultura che bandisse interpretazione e commento, per dedicarsi solo all’ascolto diretto delle opere. L’autore di Vere presenze denunciava lo strapotere di una saggistica presuntuosa, incomprensibile, succube di mode insensate. Dieci anni dopo, riprendendone le tesi, Mario Lavagetto condannava la “chirurgia standardizzata” dei tardi epigoni strutturalisti. Tuttavia, con Eutanasia della critica , lo studioso italiano preferiva concentrarsi sull’eclissi di una disciplina ormai confinata in collane specialistiche finanziate dal Ministero e destinate all’università. Ebbene, dopo questi due precedenti (e molte altre testimonianze analoghe), è adesso la volta di Frédéric Martel, al grido: “Il critico culturale è morto!”.
Indubbiamente, con l’arrivo della Rete, il critico, smarrito il suo prestigio, incontra sempre maggiori difficoltà a imporsi. Al suo posto regnano adesso i tweet o i “mi piace” di Facebook. Lo stesso vale per i suoi colleghi che seguono musica o cinema: i loro articoli non fanno più vendere i prodotti di cui si occupano, come invece accadeva in passato. A questo punto, perché non abolire il confine che divide gli esperti dai lettori? Riprendendo Tiziano Scarpa, potremmo dire che, come il musicologo si è trasformato in disk-jockey, il critico letterario dovrebbe diventare un book-jockey – ossia il fantino che, salito in groppa al prodotto, lo sprona nelle classifiche delle vendite. Ma la questione è un’altra: scomparsa la contrapposizione fra professionista e utente, crollate le gerarchie, si spalanca uno dei più insondabili misteri della nostra epoca.
In un mondo che vive di specialisti, chi ama romanzi e poesie reclama l’esatto contrario. Il principio della competenza vale per chiunque (idraulici, dermatologi, guide alpine), meno che per la letteratura. Mentre si moltiplicano gli impieghi altamente qualificati, i lettori si ribellano contro chi vorrebbe orientarli nelle loro scelte. Sia pure nel peggiore dei modi, l’augurio di Steiner sembra essersi realizzato: con la vittoria del tam tam sulla recensione, trionfa il mito di un accesso alle opere letterarie senza più mediazioni. Così, dopo aver simbolicamente ucciso quella sorta di guida spirituale che era una volta il critico, i lettori dialogano fra loro in una orizzontalità totalmente e telematicamente democratica. Ma è proprio questo il problema.
Bisognerebbe piuttosto ricordare che ogni ricerca artistica è chiamata a compiere un viaggio nell’ignoto, cioè a forzare le aspettative del suo pubblico secondo quanto alcuni studiosi hanno definito “violazione” dell’orizzonte d’attesa. È appunto questa la funzione del critico: verificare se, come e dove, tale trasformazione ha avuto luogo in un testo.
Ora, per acquisire gli strumenti necessari a un simile esame, occorre trasformare la lettura in un’occupazione sistematica – Max Weber lo spiegò sin dal 1918, con Il lavoro intellettuale come professione . Se non vogliamo ridurre la critica a un docile strumento del ramo vendite (con gli studiosi trasformati in fantini e dunque tristemente “ datisi all’ippica”), dovremo affidare l’analisi della letteratura a una comunità di critici. Qualora fosse la parola a non andar bene, scegliamo “logotecnici” o “lavoratori cognitivi”: ciò che conta è riconoscere che, al pari di tutte le altre materie, anche racconti o versi, per essere compresi e poi trasmessi, richiedono una dedizione completa. Infatti, al di fuori di una formazione che passi dall’università, dall’editoria, dalle riviste o da qualsiasi altro ambiente dove si viva di letteratura, non resta che il dilettantismo.
Nessuno nega che esistano pessimi critici e pessimi docenti — anzi, nessuno più di un critico o un docente può percepire fino in fondo le manchevolezze dei propri colleghi. Ma questo avviene ovunque. Tutto sta nel seguire la persona giusta. Chi oserebbe rompere ogni rapporto con l’intera categoria dei dentisti, soltanto perché è stato curato malamente? Un critico, se è buono, mette la sua esperienza al servizio del lettore. Un critico, se è giusto, lo aiuta a distinguere, dai semplici autori di consumo, quelli che perlomeno tentano di fare letteratura. Un critico, se è vero, sa rifiutare le bufale nascoste sotto infinite sfumature di grigio.

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